Il problema ambientale

Il problema ambientale che il progetto intende affrontare è quello riferito allo smaltimento dei rifiuti di vetroresina (GFRP, dall’inglese Glass Fiber-Reinforced Plastic).

La vetroresina è un materiale composito costituito da fibre di vetro (lunghe, tagliate o in particelle), inglobate in una matrice di resine termoindurenti, solitamente a base di poliestere, vinilestere o epossidi, che polimerizzano a temperatura ambiente grazie all’azione di appositi catalizzatori e acceleranti.
La vetroresina, grazie alle sue doti di leggerezza, solidità, resistenza a fatica e alla corrosione e scarsa conducibilità elettrica, ha conosciuto dagli anni ’50 un’enorme diffusione in diversi settori.

Tuttavia, la procedura di riciclaggio di tali prodotti è molto più complessa rispetto alla procedura di riciclaggio tipico dei materiali termoplastici.

Il primo problema è l’uso di resine termoindurenti: la reazione di polimerizzazione di tali resine non è reversibile, infatti esse non riacquistano la loro forma liquida originale attraverso riscaldamento, come fanno solitamente i materiali termoplastici, pertanto i rottami di vetroresina non possono essere fusi e rimodellati come spesso avviene nel riciclaggio della plastica.

Il secondo problema è quello collegato alle fibre artificiali vetrose utilizzate all’interno della vetroresina: evidenze di studi epidemiologici condotti su animali da laboratorio sottoposti ad inalazione forzata e/o al contatto con fibre insufflate direttamente a livello pleurico, mostrano l’insorgenza di significative modificazioni cellulari a livello alveolare e pleurico con comparsa di carcinomi e mesoteliomi. Pur non esistendo riscontri epidemiologici sull’uomo, le fibre di vetro sono state oggetto di adeguamento di Direttiva CE, che le ha inserite tra le sostanze pericolose sottoposte ad obbligo di etichettatura. In particolare, le fibre di vetro utilizzate nella produzione di manufatti in vetroresina sono classificate come cancerogeno di categoria 3 (UE) da etichettarsi con sigla R40 “possibilità di effetti irreversibili”.

Mentre nei materiali compositi contenenti fibre ad elevato valore commerciale (es. carbonio o kevlar) sono utilizzabili diverse tecnologie per il recupero delle fibre (pirolisi sotto vuoto, altri processi termici a letto fluido, estrazione fredda con fluido supercritico come solvente), per i compositi a basso valore commerciale, come la vetroresina, tali modalità di riciclaggio non sono utilizzate, poiché economicamente non convenienti.

La gestione attuale dei rifiuti di vetroresina si svolge secondo la seguente prassi:

  • Smaltimento in discarica (affondamento in fondale per le imbarcazioni aventi scafo in vetroresina); tale modalità di gestione del rifiuto, per quanto ancor la più diffusa, non è certamente la soluzione ottimale, anche a causa della non biodegradabilità del materiale;
  • Incenerimento, con l’enorme problematica dell’inquinamento da fumi;
  • Riciclo mediante regrinding: il composito viene macinato per essere riutilizzato come filler (solitamente in materiali edili);
  • Riciclo mediante pirolisi, mediante la quale il polimero viene decomposto termicamente in assenza di ossigeno, le fibre vengono separate e usate nuovamente come filler (tale soluzione è però economicamente poco conveniente);
  • Riciclo mediante digestione acida, mediante dissoluzione chimica del composito (tale processo è però economicamente proibitivo).

Da quanto sopra è evidente che, allo stato attuale, non esiste un metodo sicuro ed efficace per il riciclaggio della vetroresina.